Gli occhi del mondo agricolo sannita sono tutti oggi sul nuovo direttore di Coldiretti, Giuseppe Brillante, che si è insediato da 48 ore alla guida della più grande organizzazione di settore nella provincia di Benevento. Succede a Luigi Auriemma, che a sua volta si occuperà di Ont Italia, l'organizzazione interna dei tabacchicoltori. Coldiretti non è un'associazione come le altre. Non a caso esprime da decenni i presidenti della Camera di Commercio, a dimostrazione della forza e dei numeri che possiede sul nostro territorio. Un tempo era anche uno straordinario bacino di voti per la Democrazia Cristiana, ma a sentire i nuovi dirigenti sembrano tempi ormai lontanissimi e forse non è un male. Ne parliamo a tutto campo con il neodirettore della Coldiretti sannita.
In cosa cambierà Coldiretti con la sua guida?
"Non è una questione di persone, ma di prospettiva. Oggi dobbiamo affrontare il tema del fare, che caratterizzerà l'azione della nostra associazione. Fare significa coinvolgere i nostri soci per realizzare il grande progetto di Coldiretti nazionale: una filiera agricola tutta italiana. Una filiera che non si realizzerà a Roma, ma nelle imprese agricole e quindi nelle campagne del Sannio. Quella che abbiamo di fronte è la sfida di concretizzare queste progettualità.
Viviamo un momento di crisi, mi permetto di dire, non solo economica. C'è una crisi di idee e di spinte a realizzarle. Il mondo agricolo può dare fiducia ai propri imprenditori, ma anche a tutto il sistema economico. Questo settore lo può fare, insieme ad un altro comparto strategico: il turismo. Altrove ormai l'attenzione è concentrata, purtroppo, solo ad evitare la recessione, contenendone il più possibile gli effetti".
Di recente abbiamo lanciato l'allarme sulla realizzabilità dei Progetti integrati di filiera. Ad una prima reazione entusiastica sono seguiti gli appelli a completare le altre fasi in cui si innestano i Pif. Qual è la sua opinione in merito?
"Sui Pif dobbiamo considerare due elementi che ne determineranno il successo o l'insuccesso. Primo, la Regione deve evitare di far tornare indietro i fondi dell'Unione europea. Secondo, bisogna capire se essi sono funzionali oggi allo sviluppo dell'agricoltura. Il problema è che la scommessa è stata fatta tre anni fa, ma le cose in tre anni sono cambiate molto. C'è una oggettiva difficoltà di prospettiva.
Il vero nemico con cui combattere è la burocrazia, che si caratterizza per una lentezza a rispondere alle richieste delle imprese. Se la Regione si blocca sulle pastoie o si concentra solo sulla necessità di evitare il disimpegno invece di guardare alla qualità della spesa, rischiamo di vanificare le esigenze delle imprese.
I Pif sono un ottimo strumento, perché costringono gli agricoltori a ragionare dentro una filiera. Ed è quest'ultima a rappresentare un beneficio per chi produce e una garanzia per i consumatori. In più costringono a chiudere la filiera nel territorio. Chi non crede nei progetti, in realtà, non sono gli imprenditori, ma coloro che devono approvarli".
Quali difficoltà di accesso al credito soffrono gli imprenditori agricoli?
"I soci Coldiretti hanno un vantaggio, potendo usare gli strumenti nazionali di accesso al credito, come il Consorzio Fidi. Questo è l'unico consorzio in agricoltura ad essere riconosciuto dalla Banca d'Italia, a garanzia della solidità e della capacità di restituzione del debito. Oggi le banche, tuttavia, anche in presenza di garanzia, concedono con difficoltà i prestiti. Le banche preferiscono sanare le proprie ferite, usando i fondi della Bce, piuttosto che sostenere il mercato. Ma è un problema di sistema Paese. Su questo vanno poste maggiori spinte anche dai livelli locali".
Sull'agricoltura c'è sempre più attenzione e forse anche un atteggiamento diverso rispetto al passato. Quanto crede che conterà questo settore?
"Oggi è cambiata la visione dell'agricoltura. C'è una diffusa percezione di un suo ruolo diverso. C'è stata anche una crescita culturale da parte della gente, che guarda al nostro mondo con fiducia e speranza. Noi dialoghiamo meglio con i cittadini che con i politici, in particolare rispetto alle funzioni che l'agricoltura svolge, sia per la sicurezza alimentare che per la tutela ambientale.
Inoltre, c'è da registrare un'inversione di tendenza nel rapporto dei giovani con l'agricoltura. In passato abbiamo assistito alla fuga dalle campagne, mentre oggi c'è un'attenzione nuova. I ragazzi guardano sempre più a questo settore come un obiettivo concreto della propria vita, anche nelle scelte post-laurea. Ciò anche grazie al modo diverso di presentare l'agricoltura da parte di Coldiretti, non più solo come produttrice di derrate alimentari, ma anche come fornitore di servizi. Oggi non si produce più la materia grezza, ma prodotti che sono il frutto di qualità, sanità, cultura, storia, ambiente".
Esistono nuovi ruoli che l'agricoltura può svolgere nel nostro territorio?
"Certo. Noi possiamo essere i primi custodi della nostra qualità ambientale. La nostra gente ha davvero il controllo della situazione perché conosce il territorio. Faccio un esempio. Da tempo insistiamo a fatica per far capire che gli incendi potrebbero essere evitati dando un ruolo e una strategia al settore agricolo. Se si è scelto di impedire il pascolo agli ovini e ai bovini nel bosco, ma poi non ci dobbiamo meravigliare che il sottobosco sia esposto al rischio di prendere fuoco. L'agricoltura può e deve avere una funzione sociale".
Non crede che nella strategia economica degli ultimi anni sia stato sottovalutato eccessivamente il ruolo dell'agricoltura?
"Nell'intero Mezzogiorno c'è una storia economica sbagliata, in cui si è creduto di risolvere i problemi con la grande industria. Poi si è visto cosa è successo. In realtà la più grande industria a cielo aperto è l'agricoltura. È il settore che ogni anno garantisce milioni di ore lavorative, anche a giornata, ma senza cassa integrazione.
È il modo di produrre cibo che ha cambiato la propensione ad investire in agricoltura. Oggi i consumatori si aspettano prodotti che garantiscano sanità e qualità. Se parliamo di vino, ad esempio, dovremo tenere in conto cultura e territorio, ma anche ricerca e innovazione. Ecco perché l'agricoltura riesce a mettere insieme così tanti settori ed interessi economici".
Quali produzioni agroalimentari immagina per il futuro del Sannio?
"Più che sul prodotto specifico, mi soffermerei sul metodo. L'agricoltura del Sannio deve guardare all'identità del prodotto. Più legheremo la qualità al territorio più saremo vincenti. Su un euro speso dal consumatore solo 17 centesimi vanno all'agricoltore. Dobbiamo accorciare la filiera e portare valore al produttore, tagliando i passaggi parassitari che mortificano chi produce e scoraggiano chi consuma.
Il Sannio ha in sé cultura e storia produttive eccellenti. Vanno però fatte conoscere e organizzate in un sistema di offerta moderno e competitivo.
In passato si è fatto l'errore di pensare alla massa critica per riuscire ad esportare. Ma questa scelta sacrifica le identità territoriali, senza massimizzarle. Il nostro compito è aiutare il consumatore a scegliere. La quantità, inoltre, mortifica le spinte dei singoli agricoltori a fare bene il proprio prodotto. Quindi, dobbiamo passare dall'idea della produzione di massa alla filiera".
Qual è il vostro rapporto con la politica?
"C'è stato un tempo in cui eravamo abituati all'intervento statale per decidere tutto il percorso produttivo. Oggi non è più così. Gli Enti pubblici devono avere il compito di costruire il quadro, ma dentro ci deve essere la competitività delle imprese. Solo così si valorizza il territorio. La necessità di camminare sulle proprie gambe ha restituito ruolo e forza alla capacità strategica delle organizzazioni di categoria. È utile quindi mantenere separate impresa e politica. La Coldiretti ha dato soggettività economica e politica all'impresa agricola. Abbiamo il compito di ridare fiducia e slancio a un settore. Senza l'agricoltura il Sannio non ha grandi chance di riposizionamento. Occorre ridare fiato a tutto il sistema economico. L'agricoltura può farlo con la sua onestà, legata a valori reali e concreti".
In questi giorni anche Confindustria ha rinnovato i suoi vertici, eleggendo alla presidenza Biagio Mataluni. Cosa ne pensa?
"La nomina di un industriale del settore agroalimentare ovviamente ci fa particolarmente piacere. Al neopresidente vanno i nostri migliori auguri di buon lavoro. Con il gruppo Mataluni, peraltro, la Coldiretti ha già in essere per accorciare la filiera e per realizzare il vero Made in Italy".
25 Luglio 2012
“LE NOSTRE IMPRESE POSSONO RIDARE SPERANZA AL SANNIO” – INTERVISTA AL NEODIRETTORE DI COLDIRETTI BENEVENTO, GIUSEPPE BRILLANTE